Io, dichiaratamente innamorata del sommo maestro Merisi (che sarebbe Caravaggio) esco dalla mostra e commento: ” Ma sti genovesi? Non hanno minimamente colto la portata innovativa di questo pittore e poi si sono lasciati influenzare da uno Stom qualsiasi. Che poi chi era questo Stom?(la risposta è “un pittore fiammingo del 1600” ma per me ma per me poteva pure essere il cantante di un gruppo rock.
Torniamo seri. La mostra, che parte dal capolavoro “il martirio di Sant’Orsola” dipinto da Caravaggio pochi mesi prima di morire, vuole dare risposta ad un interrogativo: può esistere una storia dell’arte in Italia fra 1610 e 1640 senza Caravaggio?
Mentre a Roma, Napoli e nell’Italia del Sud il maestro Lombardo trova ampi echi, questa mostra mette in evidenza che non avviene lo stesso in altre città quali la stessa Milano e Genova (da qui la mia espressione iniziale che esortava i genovesi). Ne è un esempio la tela di Strozzi con la rappresentazione dello stesso soggetto di quella di Caravaggio, affiancata a quest’ultima, ne è totalmente diversa.
Fra seguaci del Merisi (Battistello Caracciolo, Ribera) e autori nuovi (Strozzi, Procaccini, Van Dyck, Vouet e l’ormai noto Stom) l’esposizione analizza la situazione artistica di inizio Seicento in 3 città: Napoli, Milano e Genova, passando attraverso la committente della famiglia Doria.
Fenomenale l’ultima cena di Procaccini, proveniente da una chiesa genovese e qui esposta dopo il restauro realizzato dalla Fondazione Centro per la Conservazione è il Restauro dei Beni Culturali “la Venaria Reale” di Torino.
Bellissime le parole dedicate alla tela di Caravaggio da Omar Galliani (in mostra con una “monografica” nella stessa “location”):
“Ci raggiungono sempre quando la notte ci avvolge le tue ultime parole mescolate ai colori e alla trementina che brucia la gola…
L’ultimo Caravaggio, Gallerie d’Italia (Milano) fino all’ 8 aprile 2018
(Foto mie!)
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